11/09/2021
Codroipo, Libri
Caffè Letterario ... nel bosco dei confini
di Silvia Polo
Il tepore di settembre inaugura il rientro del Caffè Letterario Codroipese a Villa Manin; ospite di notevole riguardo e talento la scrittrice Federica Manzon che nell’ambito di Dedica festival, quest’anno incentrata sull’opera e sul contesto culturale del grande Paolo Rumiz, ci racconta del suo romanzo “Il bosco del confine” edizioni Aboca. Già dal titolo s’innestano suggestioni letterarie di largo respiro, da sempre il bosco (o selva) rappresenta un topos letterario poderoso: luogo oscuro, misterioso e altrettanto inquietante in cui il protagonista potrebbe smarrirsi (per Dante è lì che tutto comincia) o incontrare una serie di pericoli e ostilità. Una volta dentro però, si verifica un processo di maturazione e di crescita del personaggio che lo porterà a superare le avversità. Nel romanzo della Manzon è presente tutta questa eredità culturale, cui si aggiungono anche valenze positive di questo spazio, di matrice moderna, come luogo riposante, rigoglioso e fecondo di pensiero, eppure la scrittrice va oltre, il suo è il bosco “del” confine. Nella città di frontiera in cui la storia inizia, s’insinua una linea di demarcazione pressoché invisibile ma intensa, nascosta nella vicina vegetazione: quella tra i popoli, quella tra culture, lingue e storie molto diverse tra loro. Tra est e ovest. La protagonista del romanzo, una giovane ragazza italiana dalla famiglia culturalmente molto eterogenea, “affascinata e al tempo stesso spaventata, si accorge che i boschi di là sono diversi, più scuri, popolati da orsi: di là c’è la nazione con uno degli eserciti più forti al mondo, una terra di uomini sanguinari con il coltello tra i denti e la barba da pastore”, secondo le dicerie di chi abita al di qua.
Nel giorno del suo sedicesimo compleanno, la protagonista riceve dal padre un biglietto per assistere alle Olimpiadi invernali di Sarajevo. Nel febbraio del 1984 la partenza in macchina per quello che sarà un viaggio rivelatorio, che servirà a costruire una memoria, durante il quale si farà largo in lei un sentimento nuovo, un senso di appartenenza strano, un’epifania che culminerà con un fuoripista notturno, a rotta di collo, tra i boschi fitti del Trebevic, in compagnia di Luka.
Federica Manzon, nata a Pordenone, affascinata da Trieste e dalle terre di frontiera, ci parla dell’importanza di questi luoghi: “il confine è qualcosa di poroso non un muro” ed è utile per immaginare un’identità che non deve essere chiusa, l’identità non è mai una cosa monolitica. Per tanto tempo noi europei abbiamo pensato al confine come qualcosa di esclusivamente negativo, da eliminare, invece nel confine si può e si deve riconoscere anche qualcosa di positivo, come luogo in cui conoscere l’altro e rispettare la diversità (senza per forza volerla includere o escludere). Dobbiamo pensare il confine come luogo multiculturale. Quando incontri qualcuno nel bosco ti saluti nella lingua dell'altro - sottolinea la scrittrice - credo quindi che sia importante recuperare un'idea di confine come valorizzazione del diverso, di ciò che non è omologabile, altrimenti si rischia di vivere in una società statica. La diversità va valorizzata per rendere la società capace di evolversi".
Una riflessione preziosa, che ci guida a riconsiderare i limiti come orizzonti altri cui guardare, perché si sa, i confini dividono, ma allo stesso tempo uniscono.