Mereto di Tomba, Sociale

Progetto migranti 2016: quando partire cambia una vita

di Ugo Zanin

Sei mesi di intensa attività, 48 ore di lezione al mese, tre giorni a settimana, per un totale di oltre 300 ore da luglio a dicembre, una conoscenza della lingua e una capacità di comprensione ed espressione in italiano che, da incerta e difficoltosa all’inizio, si è fatta in questi mesi sempre più sicura e spigliata, conquistando giorno dopo giorno nuovi traguardi. È questo il positivo, pur se ancora provvisorio, bilancio che si può fare ad oggi del corso di italiano organizzato dal Comune di Mereto di Tomba a partire dall’inizio di luglio e rivolto al gruppo di richiedenti asilo, circa una ventina, provenienti da Pakistan e Afghanistan, giunti in Italia all’inizio dell’anno e inseriti in un progetto, in collaborazione con la Caritas diocesana, che affianca all’insegnamento della lingua e della cultura italiana, alcuni lavori di pubblica utilità, in particolare la cura e la manutenzione di aree verdi, e la partecipazione a vari eventi e iniziative, per entrare sempre più in contatto e in relazione con la comunità che li accoglie.
I giovani migranti coinvolti nell’attività, di età compresa fra i 19 e i 42 anni, hanno le storie, le provenienze e le vicende personali più diverse, ma tutte, sempre, accomunate dal dramma della fuga, dell’esilio volontario, spesso del terrore e della minaccia. Vengono dai territori più diversi, alcuni dalle grandi città, Lahore, Islamabad, Peshawar in Pakistan, Herat in Afghanistan, altri dalle immense, caotiche e spesso poverissime periferie, altri ancora dai villaggi dell’interno, dalle montagne, o ancora dai territori contesi e instabili, da quelle strisce di terra al confine con Afghanistan e Cina che ancora risentono della passata dominazione britannica e in cui vigono sistemi di protettorato o autonomia limitata, in cui lo stato centrale si fa sentire meno e dominano le tensioni delle frange più estreme. 
Partito all’inizio di luglio, curato dalla mediatrice culturale Erica Bianchin in collaborazione con Ugo Zanin, lezione dopo lezione il corso ha cercato anzitutto di sondare le capacità e le conoscenze dei ragazzi, come il livello di alfabetizzazione e la familiarità con i numeri, ma anche il livello di comprensione della lingua italiana, per poi procedere in un percorso organico di apprendimento della lingua che tenesse conto delle primarie esigenze degli stessi studenti nella vita qui in Italia. Le domande più frequenti – come ti chiami, che lavoro fai, dove abiti -, le parole della vita quotidiana, la spesa al supermercato, le stoviglie, i vestiti, i ferri del mestiere insomma per dare un nome al mondo attorno a sé. E poi le frasi e le espressioni per raccontarsi e una carrellata sui documenti, permesso di soggiorno, tessera sanitaria, quei documenti a cui, chissà ancora per quanto, è aggrappato il loro futuro. Intanto, giorno dopo giorno, al di fuori della lezione, questi ragazzi hanno vissuto nel paese, sono entrati in contatto con la comunità, e più delle lezioni ha fatto la pratica quotidiana dell’incontro e del confronto, la loro voglia di integrarsi, di conoscere, di capire, di non avere paura e di non creare diffidenza e distacco con la gente di questo paese, che li ha accolti. 
Diversi per provenienza ed estrazione sociale, per storia personale ed istruzione, alcuni di loro alla sfida della lingua hanno dovuto aggiungere quella dell’alfabeto – nei loro paesi d’origine la scrittura più diffusa è l’urdu – e quando questo era noto per la frequenza in patria di almeno alcuni anni di scuola primaria, la pronuncia delle lettere era comunque quella inglese, completamente diversa da quella italiana. 
Lezione dopo lezione comunque, questi eroici giovani, mentre cominciavano a dare un nome in italiano al nuovo mondo intorno a loro, hanno iniziato anche a raccontarci il proprio, le loro storie, i loro ricordi, le loro famiglie lasciate in patria, le loro case bombardate dai talebani, i loro figli e le loro mogli salutate in lacrime un giorno lontano, con la promessa, insciallah, di un futuro migliore. 
Ci siamo raccontati delle nostre paure, ma anche dei nostri talenti, di cosa ciascuno sa fare, e dei nostri sogni. Fra di loro c’è chi ha studiato ingegneria meccanica e chi invece si è occupato di archeologia, chi ha lavorato in un ufficio governativo e chi aveva un negozio di abbigliamento in centro città, fino a chi invece ha cominciato a lavorare già da bambino, con il padre, a cucinare e vendere pollo nelle bancarelle ambulanti, per strada. 
Con una frequenza a lezione pur oscillante e ondivaga, condizionata talvolta dalle difficoltà negli spostamenti, anche svariati chilometri percorsi a piedi o tutt’al più in bici qualsiasi fosse il tempo, talvolta dai turni di preghiera anche notturna, dal ramadan in luglio e dagli occasionali ritrovi con i connazionali ospitati in altri comuni, comunque i giovani di Mereto hanno tenacemente tenuto fede all’impegno di imparare la lingua italiana, nella speranza un giorno di conseguire il sudato permesso di soggiorno e avere così la loro legittimazione come cittadini, la possibilità di trovare un lavoro qui in Italia o di proseguire il viaggio verso l’agognato Nordeuropa per ricongiungersi ad altri connazionali. Abbiamo studiato insieme le strutture grammaticali di base fino ad arrivare al ginepraio dei verbi con cui in questo ultimo periodo i ragazzi si stanno cimentando. 
Il bilancio comunque è più che positivo, il gruppo si è consolidato e rafforzato, la conoscenza fra noi docenti e gli studenti è progressivamente maturata, tanto che sono frequenti gli inviti a pranzo a casa dei ragazzi, a San Marco, alla fine della lezione del giovedì mattina. Negli ultimi mesi ci sono state anche alcune occasioni extrascolastiche a sottolineare l’avvenuta integrazione dei nostri studenti con la comunità locale: domenica 23 ottobre la presenza di un gruppo di migranti al Concerto di Fine Vendemmia, aperto a tutta la cittadinanza presso il Cortile di Casa Roselli della Rovere, in cui hanno gestito la raccolta del Banco Alimentare; giovedì 27 ottobre una gita di scoperta e di istruzione ad Aquileia e al parco naturale dell’Isola della Cona; e infine  la serata di lunedì 28 novembre in cui i ragazzi hanno presentato, presso la Sala della Comunità di San Marco, il film “Vado a scuola” di Pascal Plisson, per illustrare poi le caratteristiche del sistema scolastico nei loro paesi d’origine e le difficoltà vissute ogni giorno da bambini e ragazzi per conquistare quell’alfabetizzazione e quell’istruzione che qui da noi paiono scontate. Il giorno successivo sono stati invece i migranti stessi a visitare una scuola, la media di Basiliano, incontrando gli studenti per conoscere da vicino la quotidianità dell’istruzione in Italia. 
Un’esperienza positiva quella vissuta in questi mesi a Mereto di Tomba, la dimostrazione e la prova concreta che un’integrazione è possibile, quando si scommette con intelligenza e fiducia sulla buona fede e la buona volontà di chi arriva da lontano in cerca soltanto di una vita migliore. 
Ultimo aggiornamento: 19/04/2024 07:14