Codroipo

Pillole di fede dal nostro territorio

di Ilaria Mattiussi

L'incontro con malattia, sofferenze e dolore è un momento complicato e mette in dubbio le nostre certezze e i nostri valori. Dove, quindi, trovare risposte e nuova forza per affrontare le sfide di ogni giorno e trasformarle in occasioni d'amore e fede? Ne abbiamo parlato con Monsignor Ivan Bettuzzi.

Come sta affrontando questo periodo difficile, come persona e come uomo di Chiesa?
Innanzitutto come uomo, senza aggettivi. Vivo come comune cittadino la straordinarietà di questo tempo, così carico di incertezze, paure e di elementi di novità, che ci sono saltati addosso da un giorno all'altro. Come credente torna in me la domanda di sempre, di fronte alle sfide della vita: qual è il punto di forza? In teologia ci hanno insegnato a distinguere la qualità del tempo dagli eventi che lo abitano. C’è un tempo cronologico, che si allea con le paure e le ansie della vita: nella mitologia greca Kronos è il dio che divora i suoi figli dopo averli generati. È questo il rischio della comunicazione compulsiva: trasformare il tempo in uno tsunami di fotogrammi che impediscono il pensiero critico e appiattiscono sul consumo degli eventi. Ho, quindi, fatto la scelta di limitare all’essenziale la permanenza davanti a TV e social, per evitare di essere “divorato” dalla cronaca assillante di questi mesi. C’è, poi, una seconda concezione del tempo. A Kronos si oppone Kairòs, che si potrebbe tradurre con “tempo opportuno”; rimanda ad un approccio alternativo agli eventi, che non indugia sul dettaglio, ma va a cercare il significato e, in particolare, le opportunità, gli aspetti positivi, i semi di futuro che possiamo trovare in ogni passaggio della storia, anche il più difficile e drammatico. C’è quindi da scegliere se accontentarsi della sola cronaca o accettare la fatica di una lettura di quello che spesso rimane sotto-traccia. Sul sito della parrocchia, stiamo offrendo ogni settimana un considerevole numero di articoli per favorire questa operazione.
Quali iniziative ha messo in atto per cercare di essere vicino ai suoi parrocchiani?
Le iniziative sono diverse e coinvolgono molti ambiti. La prima è stata quella di mantenere attivi tutti i canali comunicativi con le famiglie della Parrocchia, attraverso la rete ordinaria, il sito, Facebook, Instagram, il bollettino (che siamo riusciti a distribuire last minute), molte telefonate e una vasta corrispondenza elettronica: il primato, quindi, alle relazioni. Questo grosso impegno è volto ad offrire strumenti adeguati alla vita spirituale di tutte le fasce di età: filmati, schede, testi e articoli utili alla riflessione e alla preghiera. C’è stata una consolante “impennata” dei contatti con i nostri social e un ottimo riscontro di gradimento della proposta. C’è poi il lavoro prezioso dei nostri catechisti ed educatori, che tengono i contatti con le famiglie dei bambini e l’impegno delle insegnanti delle due scuole dell’Infanzia gestite dalle Parrocchie di Codroipo e Goricizza che, con infinita pazienza e nuove competenze, stanno accompagnando la gestione domestica dei bambini. Sul piano più specifico delle emergenze sociali, abbiamo subito offerto la disponibilità della parrocchia alle istituzioni pubbliche, in spirito di collaborazione fattiva. Madre Carla e don Daniele si trasferiscono ogni giorno nei locali del Comune e rispondono alle decine di telefonate da parte di persone in stato di crisi e di necessità. C’è poi la Caritas, anch'essa in rete con i servizi sociali, che, con i suoi volontari, continua ad accompagnare le 120 famiglie in stato di povertà in carico ordinario al Centro di Ascolto e, in questi ultimi tempi, le nuove difficoltà che stanno bussando alle porte della Parrocchia. Un dato confortante è che, nel tempo in cui gli spostamenti erano al limite del reato, un silenzioso corteo invisibile ha collocato nelle ceste della Carità, esposte in duomo, oltre una tonnellata e mezza di generi alimentari che ora stiamo distribuendo. E poi altre attività ed iniziative che non elenco per brevità.
Quali momenti della quotidianità le mancano di più?
Indubbiamente la Messa con la presenza della mia gente. Mi mancano i volti, i saluti, il senso di Comunità intenso che spesso si respira nelle nostre chiese e poi i pomeriggi dell’oratorio, di solito pieno di bambini e giovani e ora desolatamente silenzioso.
Come cambierà, secondo lei, il rapporto che la Chiesa ha con i fedeli?
Difficile a dirsi. Ritengo che questa lunga quarantena possa produrre un effetto a forbice. Alcuni già “tiepidi” e poco motivati potrebbero vivere questo tempo come occasione per un congedo definitivo. Altri, e da quanto raccolto in questi mesi mi sento di dire la maggioranza, svilupperanno un senso di appartenenza più consapevole e recupereranno la frequenza ai sacramenti in modo meno meccanico e più motivato.
È, secondo lei, legittimo sentirsi abbandonati e senza fiducia in questo momento difficile?
Sì. Ci sono passaggi della vita (e questo lo è) in cui la terra ci scompare da sotto i piedi e veniamo esposti ad un senso di provvisorietà e di debolezza che ci deprimono. Non ho mai sopportato le “quadrature del cerchio” e ho mal digerito l’immediata diffusione di arcobaleni, con frasi preconfezionate che assicurano che “andrà tutto bene”. Le decine di migliaia di famiglie che hanno perso i loro cari, quelle che hanno dovuto affrontare malattia e quarantena, che hanno perso il lavoro e che ora devono fare i conti con la povertà, ci stanno dicendo che no, non è andata e non sta andando affatto bene! È, quindi, lecito anche a un credente entrare in crisi. Ci sono Salmi di protesta e di imprecazione, pagine bibliche in cui si lamenta l’abbandono di Dio, c'è addirittura un libro biblico che porta il titolo di Lamentazioni. Sì, la Scrittura ci dice che è legittimo sentirsi abbandonati, ma poi ci accompagna a scoprire che in realtà non lo siamo veramente: «Se scendo negli abissi, tu (Signore) sei là. Neanche le tenebre per te sono oscure» (Salmo 138). Alla disperazione non si oppone l’oblio, ma la consolazione: è il messaggio della Pasqua.
Cosa ci insegnerà tutto ciò?
Per chi vorrà imparare qualcosa da questo tempo, molto! Ci insegna che siamo fragili e che non dobbiamo far finta di essere invincibili. L’umanità si sta riscoprendo globalmente vulnerabile e questo ci può portare ad una maggiore prudenza soprattutto nei confronti del pianeta, che abbiamo saccheggiato senza ritegno, e nei confronti dei poveri, che abbiamo allontanato per paura che ci rubassero benessere e privilegi. Ci fa poi capire che non è vero che basti la salute: per sentirci vivi non abbiamo solo bisogno di essere preservati dal virus, ma anche di molto altro. Stiamo scoprendo che la vita “in pienezza” chiede la cura di molte dimensioni, non da ultima quella interiore, il respiro spirituale della vita. Questo momento ci riporta al valore insostituibile delle relazioni: siamo prossimi all’overdose di social e abbiamo una grande nostalgia di incontri veri, con persone reali. Ci obbliga, inoltre, a progettare insieme il futuro, ponendoci scadenze, obiettivi, prospettive che coinvolgano, non solo la nostra vita, né solo quella di una regione o di una nazione, ma del pianeta e del genere umano interi. Forse è questa la lezione più bella “il Kairòs” di questo tempo: la globalizzazione disumanizzante deve cedere il posto ad un nuovo sistema di relazioni, che rimettano la vita al centro e quindi le persone, le famiglie, i paesi, le città, le nazioni che tornano a riprendersi il loro posto e a orientare le scelte politiche e tecnologiche.
Ambiente, salute, politica, economia, ricerca scientifica tutte riorganizzate attorno all'uomo, al suo benessere, alla sua sopravvivenza e al suo futuro. È un po’ bizzarro: ciò che l’uomo con la sua intelligenza non era più in grado di fare, viene riprogrammato sotto la spinta di un virus dalle dimensioni infinitesimali. Questo ci impone di ricalibrare la nostra unità di misura!
Ultimo aggiornamento: 19/04/2024 07:14