07/06/2020
Sedegliano
Pillole di fede dal nostro territorio
di Ilaria Mattiussi
Durante questi mesi ci siamo sentiti spesso ripetere che sarebbe andato tutto bene e che questa terribile esperienza ci avrebbe resi migliori. Accadrà davvero? Sapremo riconsiderare i valori che determinano le nostre scelte, oppure cercheremo di ritornare alla vita di prima come se nulla fosse accaduto? Ne abbiamo parlato con Don Mario Broccolo, parroco di Gradisca di Sedegliano e Rivis.
L'umanità sta affrontando uno dei periodi più difficili della sua storia e in molti si chiedono dove sia Dio.
A Milano c'era un muro con la scritta “Dio ti ama”: qualcuno, però, aveva aggiunto “meno male, pensa se non lo facesse”. Non è così, il Signore è presente nella sofferenza e nel dolore, come lo è stato nel Calvario, sulla croce di suo Figlio. Quando il re Nabucodonosor fece gettare tre giovani in una fornace perché rifiutavano di adorare un idolo sotto forma di statua, uno di essi, Azaria, si rivolse a Dio lodandolo: non avevano nulla, ma rimaneva salda la fede in Lui. Le persone reagiscono in modo diverso al dolore, alcuni si aggrappano ancor più al Signore, altri invece lo rifiutano. Un albero, durante un tornado, cadrà dalla parte verso cui era piegato: accade così anche a un fedele.
Con quali sentimenti ha trascorso gli ultimi mesi?
Questo periodo di solitudine non è stato troppo doloroso perché ho studiato, letto e pensato molto. Certo, mi è mancato il dialogo continuo con i fedeli e la possibilità di poterli ascoltare e di parlare con loro, ma la mia serenità non è mai venuta meno, perché, nella lettera ai Filippesi l'apostolo Paolo ci ricorda di rallegrarci sempre nel Signore.
Ha avuto la possibilità di tenere unita la comunità?
La chiesa parrocchiale di Gradisca è lontana e fuori dal paese, il nostro centro è quindi stata la chiesetta di San Giorgio, risalente al 400 e restaurata da poco. L'abbiamo tenuta aperta ogni giorno fino a sera e mi faceva piacere vedere spesso persone che passavano, anche da fuori paese. Alcuni sacerdoti hanno utilizzato i mass media per trasmettere le celebrazioni ma, come hanno ricordato i vescovi, non si trattava della stessa cosa.
Da qualche settimana, però, le messe sono state riaperte alla presenza dei fedeli.
Ho riaccolto la comunità con gioia, preparando e risanando la chiesa secondo le nuove regole, ho allestito tutti i dispositivi necessari e indossato la mascherina durante la comunione. Spero, comunque, che i fedeli non si abituino alla convinzione che non sia necessario seguire le celebrazioni.
Seguiamo ogni giorno i bollettini che ci informano sui contagi e le vittime, ma si tratta di numeri. Secondo lei ci stiamo abituando al dolore?
Non si tratta di abitudine, quanto piuttosto di indifferenza verso il dolore degli altri. Capita ora, ma è già accaduto con le vicende di territori lontani, come l'Africa, o le guerre nel mondo. Pensiamo spesso che non ci debba interessare, dobbiamo invece imparare anche dal dolore altrui.
Impareremo qualcosa da tutto ciò?
Nel 1976 sono stato un terremotato, ho vissuto in una baracca e ho ricostruito parrocchia, chiesa e campanile. In quel periodo mi sono accorto del fatto che le persone non erano migliori o peggiori: tutto dipendeva dalla loro disposizione. Non sempre si impara dalla vita, non necessariamente sappiamo distinguere con più chiarezza i valori importanti, da quelli secondari. San Paolo ci ricorda, però, di come tutto concorra al bene, per quelli che amano Dio. Vivevamo in una frenesia iperattiva ed eravamo legati a idoli, denaro e voglia di divertirci a tutti i costi. Chissà se ora impareremo ad essere più sobri e attenti a ciò che conta davvero.
