Varmo

Pillole di fede dal nostro territorio

di Ilaria Mattiussi

A cosa serve la sofferenza? Ce lo siamo chiesti tutti, almeno una volta nella vita. Il dolore ci spinge a reagire in modo diverso, chi con rabbia, chi con rassegnazione, oppure con speranza. Soffrire ci può insegnare, però, a non giudicare, ad accogliere i sentimenti degli altri senza pretendere di imporre le nostre idee. Ognuno di noi trova le proprie risposte nel suo cuore. Ne abbiamo parlato con Don Franco Del Nin.

Come ha vissuto questo periodo?
Sono un sacerdote cristiano della Chiesa Cattolica, quindi non posso separare il mio essere uomo dall'essere parroco. In ogni caso, i primi giorni sono, naturalmente, stati un po' disorientanti: non ci si poteva muovere e molte abitudini, come le visite agli anziani del territorio a cui tengo molto, sono cambiate. D'altro canto, però, la vita è rallentata e ho cercato di approfittare di questa situazione dolorosa coltivando spiritualità e fede.
Cosa ricorda con più nostalgia della vita di prima?
I rapporti umani e di amicizia, il poter dialogare e il confronto, anche solo per una chiacchierata. Durante questo periodo mi sono mosso poco e solamente per necessità, ma ho trovato sempre persone che, nonostante tutto, erano disponibili al colloquio e coraggiose nell'affrontare le difficoltà. Pur nell'evidente sofferenza, non ho percepito toni di disperazione.
I mezzi di comunicazione ci hanno raccontato un bollettino quotidiano di sofferenza e morte. È, secondo lei, possibile abituarsi al dolore?
Penso, per fortuna, che non sia umanamente possibile. L’uomo cerca, in realtà, un significato, una spiegazione per il dolore. La sofferenza è disorientamento ma, come cristiani, sappiamo di poter contare sulla vicinanza del Signore. Coltiviamo la testimonianza della sua morte e resurrezione durante il periodo Pasquale e siamo chiamati a ricordarlo anche in questo periodo di emergenza.
Durante le grandi calamità siamo abituati a condividere il dolore di chi rimane. Il Covid19 ci ha, però, impedito di celebrare i funerali. Quali sentimenti le ha suscitato questa mancanza?
È un lutto nel lutto. L’eucarestia, che ricordiamo durante le esequie, tiene viva la fede nella vita eterna. Questo vale anche in un periodo in cui non possiamo celebrare i funerali. I toni sono più dimessi, ma bisogna trasmettere comunque la speranza. Il vero problema è comprendere come i parenti dei defunti siano riusciti a metabolizzare la perdita della persona cara e il lutto che ne consegue, senza il conforto e la vicinanza fisica.
Sembra ci sia un’apertura riguardo alla possibilità, per i fedeli, di rientrare in chiesa.
Sì, sarà il momento di spiegare cosa abbiamo imparato da questo periodo di prova. Il Covid19 ha comportato problemi morali, sociali ed economici, ma Dio ci insegna a trovare risposte nella fede e mantenere viva la sua alleanza d’amore verso l’umanità. Vedremo come evolverà la situazione e quali saranno le disposizioni governative e della Chiesa Cattolica Italiana, in vista della ripresa delle attività.
Lei è in contatto con il suo territorio. Quali sono le necessità delle persone?
Hanno bisogno di presenza, soprattutto per quanto riguarda chi è anziano o solo. Dalla mia esperienza deduco sia sempre gradita una telefonata da parte del parroco. Questa emergenza ci impedisce di coltivare i rapporti sociali in maniera normale e, anche solo ascoltare una voce amica porta consolazione.
Dinnanzi al dolore molte persone si chiedono dove sia Dio.
Il Signore ci è vicino e affronta con noi le prove. La risposta del cristiano davanti a sofferenza e morte è l’esempio di Gesù che si è offerto per la salvezza dell’umanità, accettando la morte in croce.
Cosa ci insegna tutto ciò?
Mi auguro che, diversamente da prima, potremo riflettere su sviluppo e progresso umano. La scienza e la tecnologia sono conquiste positive, ma fallibili e non autosufficienti. È importante, infatti, che ogni individuo coltivi le dimensioni di fede, preghiera e spiritualità personali.

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Ultimo aggiornamento: 28/03/2024 01:48