Furlan, Ricordi

Chei lunis di Pasche sui Prâts di Lorêt …

di Redazione web

In questo giorno di Pasquetta in cui nuovamente siamo costretti a restare in casa, pubblichiamo il testo di Gotart Mitri apparso ne il ponte di marzo 2021 che ricorda lunedì di Pasqua di tempi ormai passati.

Plui di sessant’agns a son passâts da l’ultime fieste sui Prâts di Lorêt, vuê zone industriâl di Panelie. Ce savoltament, ce robarie ecologjiche, ce savoltament naturâl! Prâts ch’a jerin li di centenârs di agns.
Il nono, in Jugn, si jevave a 3 di bunoris di Rivis al partive a pît par lâ a seâ il fen dai prâts. A 6 al tornave sù a fâ di gulizion e par sunâ l’Avemarie: al jere il muini.
Tai agns dopo da la Seconde Guere il lunis di Pasche al jere deventât un apontament fis, spietât di dutis lis fameis dulintor e di cetante zoventût in particolâr. Cui carets complens di int, sentâts su balis di stranc o cu lis bicicletis si rivave là par fâ Pascute: salam, formadi, fuiacis e, no vûstu, i ûfs colorâts, dut compagnât cu l’aghe di Vichy e il butilion dal vin, pussibilmentri blanc. La zoventût e spietave che intun cjanton suntun breâr e tacàs la musiche (un violin, il liron e l’armoniche), par fâ finalmentri cuatri salts ch’a jerin une liberazion e un voe mate di sfogâsi. Ator di un pâl tal mieç a partivin lis pocjis lampadinis picjadis, ma e partive ancje une cuardute che un adet al tirave par fâ paiâ i cent francs par trê bai ai balarins: la cuardute no permeteve di fâ i furbos! Ce fiestone!
Ancje di di là da l’aghe e rivave la mularie par jodi da lis “pulzetis” di ca. A partivin a trops cu la bici e l’armoniche. Un di chei zovins al jere dispès Pier Paolo Pasolini ch’al rivave chenti cu la cumbricule di Rose, San Zuan, Cjasarse e Ligugnane. Di “Il sogno di una cosa” di P.P. Pasolini.
Fin dal mattino, se la giornata è serena, la strada provinciale e i viottoli campestri che conducono a Casale, si riempiono di gente che va alla sagra del Lunedì di Pasqua.
Un po' alla volta le immense radure, d'un verde ancora invernale,freddo e leggero, colorato qua e là da qualche ramo rosa di pesco, formicolano di gente che passeggia, si diverte, gioca, corre; i cavalli sciolti dalle carrette trottano pascolando lungo i fossi,cavalcati da qualche ragazzo vestito a festa; i bambini corrono agitando le loro spade di rami scortecciati, tra i grandi depositi delle biciclette, e le bambine con le loro bluse arancione, viola o verde, giocano tranquille sotto i sambuchi appena ingemmati.
Le piattaforme per il ballo sono ancora vuote e le mille bandierine di carta, sospese ai fili delle lampade, si muovono appena a una leggerissima aria che soffia dal mare.
A nord il cerchio dei monti della Carnia affonda nel biancore, lucido e velato, dei primi giorni di primavera.

Par chei fantats e jere ancje l’ocasion par fâsi une murose e par lis fantacinis a jerin veramentri pôcs i moments, figurìnsi in cuaresime, di sei libaris fûr dai controi di cjase ancje se cualchi mari no lis molave (le vecchie madri che tenevano d'occhio le ragazze).. Erano belle e ben accomodate: con le loro capigliature castane con la permanente di moda due o tre anni prima; abbondanti, del resto, fin sulle spalle; bei seni altrettanto abbondanti, sotto i vestiti leggeri, uno turchino e l'altro marrone, indossati per la prima volta il giorno precedente che era Pasqua, e ancora immacolati come sulla tavola della sartoria. Le sarte, anzi, erano esse stesse, e infatti le loro mani non erano arrossate e nel comportamento avevano qualcosa che le rendeva diverse dalle contadine.
La companie di chei di là da l’aghe a jerin propit sfolmenâts: bevi di un continuo, balâ, saltâ daûr da la musiche da l’armoniche: Era una compagnia allegrissima, in vena di grandi cose: parevano degli incendiari, in cerca di incendiare qualcosa, farne un gran falò per dimostrare a quelli di Casale o di Codroipo quanto valesse la gioventù dell'altra riva del Tagliamento. Milio abbrancò la fisarmonica e intonò un Te Deum a passo di marcia. Ormai la baracca stava prendendo la strada buona. Poi si passò al periodo dei canti: fu un coro infernale, quelli di Rosa, ormai da un pezzo ubriachi, cantavano come dannati una canzone dietro l'altra, le più empie che conoscevano. Quando il repertorio pareva esaurito, c'era sempre uno che attaccava una canzone ancora più animosa della precedente, se fosse stato possibile. Il Nini, infiammato dal vino e leggero come un uccello, teneva in serbo per il momento opportuno i Misteri; e quando i ragazzi di Rosa furono spremuti, li attaccò.
Subito il coro gli tenne dietro muggendo, con solennità, sui fiaschi vuoti e i bicchieri rovesciati. La notte era già alta, dovevano essere almeno le una e mezzo. Le praterie erano già quasi vuote; il ballo terminato, e i festeggeri andavano svitando le lampadine dai tavolati. Tuttavia la baracca della frasca sarebbe restata ancora aperta per un pezzo. Era la compagnia dell'altra riva del Tagliamento che teneva alto il morale, facendo di quella baracca una fiera: i giovinetti di Rosa coi piedi sul tavolo continuavano a cantare a più non posso, guardandosi ridendo negli occhi e ingoiando ogni tanto una nuova sorsata di vino….
Eligio era stato abbandonato dalla sua compagnia di San Giovanni e la spuntò dicendo che mentre lui lo portava, Milio avrebbe potuto suonare l'armonica. Allora Milio si sedette sul manubrio, appoggiò il capo sulla spalla del nuovo compagno, e cominciò a suonare. E la compagnia partì verso l'altra riva del Tagliamento tra le grida del ragazzo della custodia. Ma la corsa in bicicletta e l'aria della notte anziché riordinare le idee non fece altro che ubriacarli ancora di più.
Su l’ore di tornâ l’aiar da la not al jere salacor cliput ch’e rivave la vierte, e Pasolini si ferme a piturâ il panorame che si rivave a jodi dal punt dal Tiliment,ma no dai fantats, ben “momâts”, che no jodevin nancje la strade. “Sotto la luce lunare che sfavillava nelle praterie, essi correvano urlando come diavoli, solo un po' scontenti forse che non ci fosse nessuno a sentirli: infatti la strada che da San Daniele sboccava nella Venezia-Udine poco sotto Codroipo è la più deserta di tutto il Friuli. A sinistra, sotto la luna, si stendevano abbandonati i depositi della polveriera, che una volta, di tanto in tanto scoppiavano rompendo i vetri di tutti i paesi vicini. E i ragazzi di Rosa, rasentandoli, parevano voler evocare assordandoli i loro antichi frastuoni. Poi sotto l'immenso fascio di luce azzurra e polverosa della luna, comparve sconfinato, dai monti alla pianura, il greto del Tagliamento: i ragazzi imboccarono a tutta velocità il lunghissimo ponte della Delizia, ma dopo nemmeno cento metri uno di Rosa frenò di colpo, gettò la bicicletta lunga e distesa sull'asfalto come se fosse un giocattolo, gridando:“Spetait, fantats, ch’i ai une pissade pa li’ mans!”; tutti frenarono e gli fecero compagnia, mettendosi in fila lungo la spalletta: anche il Nini si schierò con loro, ma dopo un istante si chiese con quanto fiato aveva in gola: “Ma ce stoio fasint chi cu l’afâr in man? No ai migo bisugna jo!”, risollevò la bicicletta da terra come se fosse di piume e si allontanò a gran carriera cantando. Gli altri ridevano in fila lungo il ponte. ”Din aga al Tiliment” gridò Milio, “che no’nd à mai!” Alle prime case di Casarsa ripresero a cantare a squarciagola. Volevano svegliare tutto il paese. E quando furono in piazza, Milio, sempre appoggiato addosso a Eligio e seduto sul manubrio, li fece star tutti zitti un momento, con un grido, e con la sua fisarmonica attaccò: «Avanti popolo...» E tutti gli andarono dietro urlando.

Moments di no dismenteâ, moments di spensieratece, di gust di vivi, di gjoldi la vite di cheste zoventût a son deventâts memoriis pierdudis, ma ch’a àn dentri cetant colôr, savôr, calôr uman, e inocense. O isal miôr vignî fûr di une discoteche a straoris, complens di alcul, di potacjos di polvarinis pensant di fâsi compagnâ cjase e po finîle violentadis, magari di plui di un di lôr? Ise une blesteme?: biade miserie!
Pier Paolo Pasolini nus à regalât chest cuadri di vite di chê zoventût furlane, speranzose che al plui si permeteve cualchi macacade in companie di une biele … simie! Di taiuts. E nus scjaldin il cûr chescj ricuarts. Si vorès fermâ il timp e fâ cercjâ chel savôr unic, di chê zoventût, di chei timps ai nestris spaurîts e sturnîts fantats. Lis Pascutis di altris timps ….
Gotart Mitri

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Ultimo aggiornamento: 28/03/2024 01:48