Il film descrive le vicende di italiani, ebrei e non ebrei, durante il periodo che va dalla pubblicazione delle leggi razziali (1938) alla deportazione dall’Italia (1943-1945). Le testimonianze sono numerose e affrontano la situazione da prospettive diverse non escludendo chi, all’epoca (e ancora oggi), era favorevole all’applicazione di quelle disposizioni.
Pietro Suber realizza un documentario che ha una molteplicità di valenze. Innanzitutto ha il pregio di raccogliere le testimonianze di persone che sono state perseguitate e sono sopravvissute e la cui testimonianza, considerata la loro non più giovane età (anche se l’augurio è di lunga vita), è ancor più preziosa.
Ha poi il merito di dare voce a chi all’epoca aderiva al fascismo e ancor oggi non ha mutato parere così come a coloro che hanno avuto un parente coinvolto nel sostegno alle tesi razziste e tuttora portano il peso di quella vergognosa adesione.
Quello che maggiormente colpisce (e che la regia fa bene a sottolineare già nel titolo) è lo sconcerto di quegli ebrei italiani che avevano messo a repentaglio le proprie vite durante la prima guerra mondiale in difesa di quella che sentivano come la loro Patria e che ora scoprivano di non esserne più considerati figli ma, anzi, pericolosi nemici. Non erano pochi, Suber ce lo ricorda, gli ebrei dichiaratamente aderenti al regime che si sentirono traditi da quello che interpretarono come un passivo adeguamento ai dettati hitleriani.
Diviso in capitoli il documentario ha tre città come punto di riferimento. Una è Ferrara (e la memoria torna a Giorgio Bassani e a “Il giardino dei Finzi Contini”). Le altre due sono Roma e Fiume nonché il famigerato campo di concentramento di Fossoli. Chi racconta ciò che accadde non fa di ogni erba un fascio (si perdoni il gioco di parole) ed è consapevole di ciò che tanti italiani fecero, rischiando la propria vita, per salvare degli ebrei. Ci ricorda però anche che le responsabilità non possono essere scaricate tutte sui tedeschi perché non mancarono non solo i delatori ma anche letteralmente chi li ‘vendeva’ loro con tariffe precise.