Quanto è percepibile, nella nostra quotidianità, ciò che sta avvenendo in Ucraina? Abbiamo modo di renderci conto, guardandoci attorno, dei danni che la guerra sta causando? Una risposta a queste domande ce la offrono i dati diffusi dalla Caritas diocesana di Udine: dal 24 febbraio 2022 al 24 febbraio 2024, ovvero in due anni di guerra esatti, il Friuli Venezia Giulia ha accolto 622 cittadini ucraini, 522 dei quali arrivati nel primo anno del conflitto. Ma il numero che fa più impressione riguarda i minori, 292, praticamente la metà degli ucraini approdati in Fvg.
Ed è proprio di ragazzi che parleremo, perché al di là delle cifre la guerra è una realtà che possiamo osservare da vicino attraverso una lente di ingrandimento privilegiata: la scuola.
S è una mediatrice culturale convocata - con colpevole ritardo - soltanto a marzo 2024 in un istituto comprensivo friulano per supportare linguisticamente alunni ucraini, rumeni e albanesi, che hanno trovato in lei una figura con cui riescono a comunicare liberamente nella propria lingua madre e con cui possono sfogarsi. Le raccontano cosa hanno vissuto, come sono arrivati in Italia, cosa provano e S. è rimasta particolarmente colpita da alcune storie. Come quella di A, ragazzina stabilitasi in Friuli l’anno scorso. Prima che chiamassero S, A si era rifugiata dietro a un muro di mutismo che neanche i compagni erano riusciti a scalfire. Nonostante tutti gli sforzi dei professori per progettare delle verifiche adatte a lei, A non ha mai risposto alle sollecitazioni didattiche. Con S, invece, la ragazzina si è aperta oltre le più rosee aspettative. Si è sbloccata al punto che le ha rivelato il motivo per cui ha questa sorta di rifiuto nei confronti della nuova lingua da imparare, nato dal trauma subito nel suo paese di origine, un paese di frontiera. A è stata profondamente segnata dai bombardamenti: un'esperienza così cruda che l'ha spinta a chiudersi nella sua roccaforte, impermeabile a qualsiasi scambio comunicativo con i nuovi vicini di banco. Il vecchio registro elettronico, quello della scuola ucraina, ritraeva un’alunna modello collezionista di voti altissimi. Dopo lo spartiacque della guerra, invece, la brusca frenata. In pagella e anche nella socialità, che è la benzina per la crescita della persona. Fortunatamente non si è arrestata la speranza di tornare a casa e, quindi, alla normalità. Senza rivelare niente a nessuno - se non a S - A ha preparato autonomamente una presentazione per gli esami incentrata sull'Ucraina, che ha scritto nella lingua madre e ha poi tradotto in italiano. Un modo per rimanere aggrappata al suo paese natale, a cui è legata visceralmente. La storia di A è simile a quella di un’altra alunna - che chiameremo B - passata per la stessa scuola friulana. La ragazzina arrivò in Italia accompagnata soltanto dalla madre, mentre il padre era rimasto in Ucraina a combattere. Come A, pure B si oppose a ogni scambio relazionale con la classe e i professori. Mesi e mesi a piangere, a rifiutarsi di assimilare la lingua, a odiare la madre che alla fine fu costretta a riportarla in Ucraina per salvaguardare il suo benessere emotivo. E poi c'è l'esperienza di C, arrivata in età da quinta elementare e, come le piccole profughe ucraine di cui abbiamo parlato in precedenza, restia - almeno inizialmente - a misurarsi con l’italiano. Nei mesi scorsi, ha fatto dei passi avanti sul piano espressivo e comprensivo, ma si sforza il minimo indispensabile perché è convinta, e ne parla coi professori, che quando finirà la guerra lei e la sua famiglia torneranno a casa. C ha un atteggiamento meno oppositivo rispetto alle due coetanee, anche se c'è un assunto di base che accomuna le tre ragazzine: che senso ha imparare una nuova lingua e integrarsi se prima o poi riprenderò la vita che ho momentaneamente accantonato? I suoi genitori, intanto, hanno trovato una sistemazione e un lavoro, immaginano che la strada che li riporterà in Ucraina non sarà percorribile per parecchio tempo, probabilmente. E confidano in un cambio di rotta di B, aiutata dalla scuola con dei corsi di potenziamento linguistico. Lei, però, fino a qualche tempo fa non si sentiva capita, aveva l'impressione di essere quasi un peso per lo svolgimento delle lezioni. Ma tutto è cambiato con l'arrivo della mediatrice, dopo il quale è mutato radicalmente l'atteggiamento di C, più supportata e quindi più motivata alla scoperta dell'italiano. Le vite di A, B e C ci insegnano quanto siano delicati gli equilibri dei ragazzi, quanto la guerra li possa compromettere, e la scuola è uno degli antidoti più potenti al collasso della loro stabilità. È una medicina utile sia a chi arriva in Italia che a chi qui è nato e studia, perché non esiste lezione migliore sui danni prodotti dalle guerre dell'esperienza di questi ragazzini ucraini, desiderosi soltanto di qualcuno che curi loro le ferite e li aiuti a coltivare il sogno di rivedere il proprio paese. Magari non soltanto sul libro di geografia.