Sabato 25 gennaio alle 17:00 sarà la volta di "Pane e ferro, in Novecento qui da noi", ultima fatica di Massimiliano Santarossa, classe 1974 di Villanova di Pordenone. Questo romanzo storico richiama il lettore fin dalla copertina. Calda, vera, dove la casa rossa ha la porta narrante, così come il salice a destra e il fiume davanti.
Dopo otto libri che gli hanno conferito notorietà, Santarossa ha voluto imboccare la svolta e narrare ciò che nessuno aveva mai detto sull’epopea contadina, familiare e sociale del Novecento veneto e friulano, dove la terra è stata solcata dalla grande storia che si studia sui libri di scuola o di chi si occupa di ricerca.
Nessuno aveva mai ripreso la narrazione orale, purtroppo scomparsa oggi nelle famiglie e altrove, trasformandola in epica letteraria, quella che sa trasmettere emozione e affetto. Santarossa ci è riuscito, mettendoci tutto l’amore per le storie minime degli ultimi, che hanno vissuto in silenzio e con i calli nelle mani il cambiamento epocale che li ha visti passare dalla terra alle fabbriche, con l’etichetta di “metalmezzadri”. Donne, uomini, famiglie, sfiorate dagli eventi importanti ma con il peso sulle spalle dell’emigrazione, delle guerre, delle fatiche e delle conquiste di cui la storia si è dimenticata. Donne, uomini e famiglie senza diritti, con la schiena piegata sulla terra da coltivare e i corpi nel ferro da costruire. Pane e Ferro, dunque, elementi di contrasto tra dolcezza e crudità tagliente capaci di dare voce a chi non l’ha mai avuta. Persone normali, famiglie normali, di cui ognuno ha fatto e fa ancora parte con ricordi vissuti o ascoltati, quando la narrazione era un rituale benefico.
Protagonista dell’opera storica e letteraria è il Novecento, il secolo “breve” vissuto e accettato qui, da noi, in Friuli e Veneto, tramite l’epopea di una famiglia dall’alba del 1895 al tramonto del 1999, a Paesenovo. Dal nonno fascista, vecchio patriarca, che nei due conflitti familiari vive la tragedia di quel tempo, fino al figlio Enea, nato nel 1955, e al nipote, chiamati a ripercorrere la loro storia nei ricordi e sulla pelle, in modo da lasciarne traccia, quasi fosse un testamento.
Un libro importante per tutti ma, in particolare, per i giovani che non conoscono la magia della narrazione orale né gli effetti che la grande storia ha avuto sulle famiglie come quella dei protagonisti. Un libro dalla coinvolgente musica linguistica di fondo, dalle pagine vive e toccanti che dipingono un mondo ormai lontano, dove il Pane è figlio del lavoro dei contadini e il Ferro è figlio del lavoro degli operai. Dove si muovono i veri protagonisti del secolo passato, gli infaticabili servitori del mais di cui cibarsi e del metallo con cui mantenersi. Di giorno nelle fabbriche e di notte nei campi. A loro insaputa, essi hanno contribuito, nel bene e ne male, e questo lo dirà il tempo, ma sicuramente nel sacrificio, allo sviluppo industriale italiano, il più impetuoso dell’intero continente europeo, dagli anni Cinquanta e Sessanta.
Leggere Pane e Ferro significa mettersi in viaggio tra gli avvenimenti, le tensioni, i drammi ma anche le speranze di quel Secolo Breve, il 1900 appunto, la cui eco risuona ancora tra noi, qui, in Friuli e Veneto. Come monito forse o come memoria storica cui guardare per non perderci.
Il libro sta raccogliendo tanto "affetto", come piace dire a Santarossa. È stato presentato a Pordenone Legge, a vari festival quali "Canta carbone" a Treviso, all’Azienda agricola Ferrin Vini a Bugnins di Camino al Tagliamento nell’ambito degli Itinerari Culturali dell’Associazione Ermes di Colloredo 1692.