28/09/2025
Lettere
Il volto dell’Europa, tra la difesa e il ripudio della guerra
di Graziano Vatri
L’Europa è sola ed indifesa in un mondo di lupi. Restituita a se stessa, dopo un secolo attraversato da due conflitti che l’hanno dissanguata. Sostanzialmente, guerre civili europee, combattute sul suo suolo, risolte solo grazie all’intervento delle armate d’oltre oceano e tali, dunque, da disegnare una forzata dipendenza che, a sua volta, è diventata una forma di torpore. Ora è il momento del risveglio brusco, eppure necessario. L’Europa deve accettare l’idea di essere sotto attacco e di dover sopportare, da sola, una prova che la proietta in un’altra dimensione della sua vicenda, cambia le sue attitudini, i costumi e gli stili di vita consolidati e, addirittura, può decidere del suo destino. Ne uscirà o vincente – e finalmente, di fatto “federata” dalla forza degli eventi piuttosto che dalla claudicante volontà delle sue classi dirigenti – oppure perdente e disarticolata. Una volta per tutte. Si tratta di un’Europa, in ogni caso, differente e nuova, sospinta ad affrontare un crinale che funge da spartiacque tra due versanti della sua storia. Putin non si fermerà, anche perché sa di avere sostanzialmente “man leva” da parte di Trump. Ed almeno finché Trump durerà. Ancora tre anni e più, senza escludere che gli succeda un suo clone. In ogni caso, Trump ed il trumpismo rappresentano la finestra temporale meglio garantita, entro la quale Putin può far del male all’ Europa. Prima di decidere se, quando e come sferrare un eventuale attacco armato – evenienza da non escludere, Putin cercherà di lavorare l’Europa ai fianchi per fiaccarne il morale e rompere il fronte interno. Del resto, non gli mancano “quinte colonne” disponibili all’intendenza con il nemico. L’Europa ha, dunque, il diritto ed il dovere di difendersi. Il dovere d’essere fedele alla sua storia e non consentire che venga distrutto il patrimonio spirituale che è andata maturando da qualche millennio a questa parte. Ricchezza e fonte di ispirazione che l’Europa offre a tutti i popoli che abitano la Terra, pur senza cedere a nessuna forma di revanscismo. Una difesa, dunque, che non significhi banalmente “riarmo”, bensì, anzitutto, costruzione di una unità politica che riordini i dispostivi militari nazionali secondo un principio di integrazione. Il che non esclude a priori l’implementazione degli arsenali, ma, in ogni caso, la deriva dalla cifra politica del percorso unitario ed a questo rinvia, sostenendolo anche sul piano militare della difesa e della dissuasione. Bisogna, detto altrimenti, tornare allo spirito del progetto degasperiano della CED. L’Europa non è in grado, soprattutto non rientra nel compito che la storia le assegna, per cui non deve né iscriversi al club esclusivo della “grandi potenze”, né competere con queste sul piano della spartizione del mondo in aree di influenza che perpetuino, in forme aggiornate, una postura coloniale. Il suo raggio d’azione deve, piuttosto, svilupparsi – concorrendo a strutturarla – attraverso una dimensione multipolare degli equilibri internazionali. Ma un secondo tratto – per nulla incompatibile con le ragioni della difesa – è necessario per dare all’ Europa un “volto” che sia coerente a quella ispirazione umanistica e cristiana che neppure le guerre intestine hanno potuto eclissare. È un’ispirazione che nasce dalla cultura greco-romana e dalla tradizione giudaico-cristiana, cosicché tutto quel che segue negli sviluppi del pensiero europeo non è, in ultima analisi, se non una declinazione di quelle prime origini. L’altro tratto sostanziale del “volto” europeo dev’essere il “ripudio” della guerra. Sarebbe un atto di straordinario rilievo se il Parlamento Europeo approvasse solennemente, in questo particolarissimo frangente storico, una risoluzione che facesse proprio l’art. 11 della nostra Costituzione. L’ Europa acquisterebbe una credibilità morale importante nel quadro delle relazioni internazionali.