10/11/2024
Lettere
La rielezione di Donald Trump, tra speranze e timori
di Graziano Vatri
Sulla vittoria a valanga di Trump dobbiamo tutti tornare ad approfondire ed a trarre delle considerazioni più approfondite e complete, sotto vari profili.
Il Paese che ha immaginato di essere fonte di ispirazione e guida dell’Occidente democratico, non c’è più. La vittoria di Trump è una sorta di consacrazione planetaria del “populismo”. Non c’è più quella “nuova frontiera” che, anche grazie alla suggestione dei vent’anni, negli anni ‘60, avevamo idealizzato. Una stagione che suscita una nostalgia anche a fronte di ciò che oggi passa il convento, e che ha la sua ragion d’essere. Era un’America ancora più razzista di quanto non lo sia, in qualche misura, ancora oggi. Una grande democrazia attraversata da diseguaglianze, miserie e contraddizioni, ma pur capace di credere e coltivare una speranza.
Altra riflessione si deve fare circa la campagna elettorale di Kamala Harris, sbagliata perché troppo appiattita su quella del presidente uscente Biden: tale da non rappresentare un salto di qualità appetibile per l’elettorato. Il tramonto definitivo, dopo 80 anni, dell’America di Bretton Woods del 1944, quella dell’unilateralismo e degli States come gendarmi della democrazia nel mondo post Seconda guerra mondiale. E, non da ultima, la consacrazione di nuovo capitalismo oligarchico (il “Manifesto Politico della Sylicon Valley Oligarchica” è di Peter Thiel e risale al 2009), che ha tra i suoi sostenitori il vicepresidente appena eletto J. D. Vance,Elon Musk e molti imprenditori delle big tech. Un orientamento secondo cui l’America è entrata in una stagione di declino e che la democrazia, intesa in senso liberale come l’abbiamo conosciuta, porta alla fame, è finita e dobbiamo dare il potere ai bianchi, non alle donne, e costituire una nuova oligarchia di imprenditori. Queste alcune delle riflessioni di Stefano Zamagni, professore di Economia Civile presso Mater Studiorum, Università di Bologna, a proposito delle ragioni della vittoria di Donald Trump alle elezioni politiche. Secondo questa impostazione, spiega Zamagni, «di fatto, le sorti del Paese devono essere affidate ai super ricchi, che devono farsi carico di provvedere alla sanità, alla scuola all’assistenza», con un livello di intervento dello Stato, «che deve tornare a essere minimo, limitandosi sostanzialmente alla sicurezza nazionale e a poco altro». In cambio «questi imprenditori chiedono di non pagare più del 15% di tasse». Così però, sottolinea, si «elimina la democrazia». L’errore del partito democratico americano è stato da una parte «sottovalutare una cultura, che ha dimostrato di essere vincente», proprio perché i cittadini «hanno davanti una politica non all’altezza della situazione», dall’altra «non hanno saputo tenere conto della forza dirompente di questa impostazione». Per Zamagni si è trattato di «un errore di sottovalutazione, che dovrebbe essere di lezione per noi europei e per noi italiani in particolare». È stata «una campagna tutta sbagliata». In questo quadro, Zamagni invita a «cogliere le ragioni profonde per cui oggi la democrazia è in crisi». La strada? «Tornare al fondamento della democrazia, ovvero al governo del popolo per il popolo». Certo, anche i «woke», spiega, «lavorano per il popolo, ma lo fanno togliendo la libertà, perché si comportano in maniera paternalistica. O attuiamo la democrazia vera, quella aristotelica, deliberativa, o non ci sarà più nulla da fare». Certo, sulle scelte di Trump molto dipenderà dalla composizione del Congresso e da quanto cioè il muovo presidente degli Stati Uniti dovrà scendere a patti. Certo ancora, pesa sul futuro l’imprevedibilità del personaggio. Tuttavia, per Zamagni «Trump ha interesse a chiudere la guerra sia in Ucraina che in Medio Oriente». Nel primo caso, ipotizza, uno degli scenari punterebbe a riportare Putin in un contesto occidentale «per sottrarlo alla Cina, il vero pericolo per Trump». L’elezione del tycoon peserà poi sulla bilancia commerciale europea e quindi italiana, «a causa dell’aumento dei dazi». Questi scenari, di fatto, ci rendono così incerti ed insicuri. Presto e dopo le prime scelte del presidente americano neo eletto, tornerò a trattare l’argomento.