22/02/2025
Codroipo, Libri
Anteprima “Dedica Festival” con Angelo Floramo
di Pierina Gallina
Un Angelo Floramo strizzacoscienze ha messo le guarnizioni ai sentimenti del pubblico da tutto esaurito al Museo delle Carrozze di San Martino.
Insieme alla musicista ungherese Andrea Bitai ha calamitato l’attenzione sul tema di Dedica, quest’anno incentrato sullo scrittore iraniano Kader Abdolah, e curato dall’Ass. Tesis, rappresentata da Andrea Visentini ovvero l’ingiustizia della storia con le donne, di ieri e di oggi.
L’assessore Silvia Polo ha avvalorato l’iniziativa, ringraziando il Caffè Letterario Codroipese, presieduto da Luisa Venuti.
Dedica vuol dare fiato a chi non ha potuto gridare, e non può farlo nemmeno oggi, e a chi, se ha gridato, non è stato ascoltato. Una umanità debole e raminga che va oltre la visuale della nostra consapevolezza, un diluvio di ingiustizie per le donne, che Floramo ha portato in scena da affascinante affabulatore quale egli è. Ha suddiviso la narrazione in sei capitoli e avvolto nella propria anima ogni parola e ogni pausa e ogni lacrima repressa.
Ha sapientemente intessuto figure di donne, dalla regina Romilda, salvatrice di Cividale, alla donna bambina costretta a prostituirsi in stazione a Udine, oggi. Ha incrociato le giovani Mascia, Niscia, Arezan di Teheran, massacrate per aver messo male il velo o per aver avuto il coraggio di spogliarsi davanti al mondo, con il reggiseno rosa senza marchi di lusso.
Quante donne come loro, nei tempi andati e in questo mondo attuale, hanno corpi come carte geografiche di violenza, sfregiate, violate, dimenticate, rinchiuse nelle carceri domestiche?
La musica di Andrea, con violoncello etnico, e voce antica, ne ha scandito le narrazioni, tutte strofinate di muto dolore.
Nella prima, Angelo ha condotto a Teheran, dove una bambina già donna si è spogliata, in piazza. “Matta, è matta – dicono ancora – deve essere rieducata, così la voce dell’occidente che tanto pontifica è tranquilla.
Però per Cecilia Sala, italiana, bella, si è mosso il mondo? Perché per lei sì e per le altre no? Il 25 novembre, 25mila studenti colorati delle nostre scuole superiori erano in piazza per Giulia Cecchettin. Perché per lei sì e per le altre no? Per le tante in carcere in Libia, per esempio, o che scompaiono. È che Giulia assomiglia a nostra figlia!”
Donna vita libertà è slogan passato di moda. Ma che paura suscita un corpo di donna?
Altre domande e parole, granitiche scudisciate per le coscienze, hanno trasportato fin dentro il Mare Mostrum, al di là dei confini della consapevolezza, in un verminaio di immondizia di plastica. Dove una giovane madre con il profondo abisso sotto ai piedi ha alzato verso il cielo il nostro futuro, suo figlio neonato. Di sicuro in una notte senza stelle.
Poi, Aquileia, 488 d.C. quado l’arcivescovo Cromazio era in un ufficio notturno, per giudicare una bambina di 12 anni, Susanna. Tornava dai campi con il padre ed era stata stuprata da un ragazzo. Era risultata colpevole di aver indossato un vestito di carne. Una colpa pagata con la condanna a vita.
E a Cividale la regina Romilda, vedova di Gisulfo, alta, bella, vestita di seta bizantina, passeggiava, sotto gli sguardi di chierici, che tutto sapevano. Lei, lussuriosa, stuprata da 24 condottieri e poi infilzata. Solo grazie a Paolo Diacono si sarebbe saputa la vera storia, svelata da Maria Torre Barbina. Romilda si era sacrificata per salvare la città da quelle bestie che gli uomini talvolta sanno diventare. Donne, maschi imperfetti per Aristotele. Donne, buone a sfornare figli, come Eva.
E ancora parole come paesaggi sonori.
Nella quarta scena, Floramo ha parlato di gentilezza o, meglio, di ironica gentilezza, nominando Ermes di Colloredo e decantandone alcuni versi “ Fra lis clapis comut corarés... Par cure une piramide di jet.”
Nella quinta ha scelto di iniziare con il silenzio, prima di parlare della partigiana Giulia e del campo di concentramento per donne gestito da donne. Dove i colpi di crudeltà facevano arrossire perfino il diavolo. Grande l’emozione nel sentire il narrare del cumulo di donne uguali a cadaveri vivi, cui l'unica patata era stata negata, schiacciata dalla capò.
L’ultima scena inquadrava la stazione di Udine, oggi.
“Sei lì e aspetti la bestia affamata di carne umana. Hai labbra troppo rosse e gonfie. Le donne ti guardano. Gli uomini fingono indifferenza. Hai spalla nuda di pelle bambina e una feroce sensualità, capelli ricci e castani, il pallore malato del viso, le calze smagliate. E l’odore di fatica del lavoro. Sei vecchia di dolore e di stanchezza, lunga come la strada dei Balcani. Fagottino di ossa, ti chiamano troia, puttana, cagna, zingara, nera. In una notte di sirene, violentata dagli arcangeli, tu dovresti essere cantata in un poema.”
Una serata che non si è conclusa solo con applausi, ma con rammendi a cicatrici di inutile crudeltà.